L’indagine presentata nel testo pone l’attenzione sulla componente meno considerata della popolazione penitenziaria: quella femminile. In un periodo nel quale l’interesse dell’opinione pubblica è giustamente rivolto alla donna come vittima preferenziale di violenze perpetrate nell’ambito delle relazioni di prossimità, gli Autori intendono sottolineare la condizione della donna autrice di reato in esecuzione penale, cornice in cui si genera una analoga situazione di sofferenza suppletiva. Mediante l’utilizzo di un questionario di formulazione statunitense (adottato senza modifiche per permettere la comparazione dei dati raccolti con quelli relativi ad altri Paesi europei ed extraeuropei coinvolti nel progetto di ricerca), è stato possibile delineare non solo gli aspetti principali della carriera criminale del campione di donne intervistate, dell’abuso di alcol e di droghe, dell’esistenza di disturbi psichici precedenti o successivi alla carcerazione ma anche gli elementi di vittimizzazione precoce legati all’infanzia, gli accadimenti negativi subiti da adulta fino ad arrivare al momento della maternità vissuta in carcere e alle conseguenze della separazione rinvenibili nelle madri detenute e nei loro figli, analogamente costretti a subirla. Per ogni argomento affrontato, il testo attribuisce ampio risalto a riferimenti internazionali che, sul tema della detenzione femminile, spaziano dagli strumenti normativi europei a quelli previsti dalle Nazioni Unite senza tralasciare esempi di buone prassi dalle quali attingere possibili opzioni migliorative della reclusione femminile.
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Shanghai - Agosto 1990