Il cavalier Machi si guarda allo specchio e vede l’immagine del successo. Padrone di un piccolo impero, il tango-bar El Imperio, Machi procede in modo spregiudicato in tutti gli ambiti e lo vediamo lanciato verso chissà quali vette di ulteriori successi. Circondato di belle donne pronte a soddisfare ogni suo capriccio, ricco, inserito negli ambienti che contano, tutto gli sorride, sebbene molti nutrano risentimento nei suoi confronti, proprio perché non esita a calpestare il prossimo pur di raggiungere un beneficio. Anche il contesto politico-sociale gli arride, finché un imprevisto – la banale foratura di una gomma del suo amato BMW – non butterà un granello di sabbia nell’oliato ingranaggio del successo. In questo romanzo dal ritmo incalzante, Kike Ferrari ci presenta un tipico risultato della devastazione sociale, urbana ed economica dell’Argentina post-dittatura. Il cavalier Machi diventa l’emblema di un Paese sprofondato nella palude di un neoliberalismo in cui l’uomo viene ridotto a entità trascurabile o tutt’al più considerato merce di scambio. Che da lontano sembrano mosche è ricco di riferimenti culturali e di stimolanti allusioni a diversi aspetti del mondo contemporaneo. L’intelaiatura formale, ripresa da Foucault che a sua volta si rifà a Borges, scandisce una narrazione densa e originale, dal finale sorprendente.