«C’è una ragione profonda e segreta che induce a rivisitare la storia remota dell’arte della conversazione». Tale ragione potrebbe risiedere nel fascino che quel mondo estinto, e ormai distante, esercita ancora su quanti di noi siano attenti alle dinamiche culturali in corso e ne avvertano una certa insoddisfazione. È probabile che si tratti di una vera e propria archeologia del sapere; e tuttavia «l’ideale di conversazione proprio dell’età di Antico regime, che sa coniugare la leggerezza con la profondità, l’eleganza con il piacere, la ricerca della verità con la tolleranza e con il rispetto dell’opinione altrui, non ha mai smesso di attrarci». La dinamica di questa attrazione è poi direttamente proporzionale alla distanza dal modello. Quanto più la realtà si allontana – con il suo incedere per noi ormai convulso e il tempo che stringe – dalla sua attualizzazione tanto più sembriamo avvertirne la perdita. Potremmo concludere che la conversazione «ha cessato di essere l’ideale di tutta una società, è diventato un “luogo di memoria”, e non c’è rito propiziatorio che possa riportarlo fra noi a condizioni che non gli sono favorevoli: conduce ormai un’esistenza clandestina, ed è appannaggio di pochi. Eppure niente ci dice che un giorno non possa tornare a renderci un po’ felici».

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