

Il Moyamoya o “nuvola di fumo” (????) è da sempre considerata una patologia molto enigmatica ed avvolta da un alone di velato mistero. Se, da una parte, il termine descrive in modo oggettivo l’aspetto angiogra?co più tipico della malattia, cioè l’ipertro?a delle arterie perforanti, dall’altro, esso rimanda ad una condizione esotica, so?usa, mutevole, dinamica e, seppur concreta, mal de?nita nei suoi con-torni. Questi termini ben si adattano alla fondamentale elusività dei meccanismi ?siopatologici e patogenetici, nonché alla di?cile caratterizzazione del comportamento della malattia che in taluni appare come uno strisciante compagno di viaggio, in altri si estrinseca con estrema aggressività. La malattia di Moyamoya non è appannaggio delle sole popolazioni orientali e oggi è chiaro che anche gli occidentali possono essere a?etti dalla patologia, seppur con di?erente epidemiologia. L’attenzione clinica verso il Moyamoya è de?nitivamente uscita dalla cerchia ristretta degli esperti giapponesi e la gestione del paziente riguarda direttamente qualsiasi neurologo, pediatra, internista, neurochirurgo. Se ?no al 2007 venivano pubblicati pochi lavori riguardanti la malattia e la maggior parte rappresentavano esperienze giapponesi, cinesi o coreane, negli ultimi anni si è assistito ad un andamento esponenziale della letteratura con più di 300 lavori indicizzati nel solo ultimo anno e con un numero crescente di autori che riportano esperienze europee o statunitensi. La crescita esponenziale è la forma d’onda che descrive il comportamento contagioso, detto con parole più moderne, il comportamento virale. Qual è stato il tipping point?Qual è il fattore che sta portando una nicchia culturale ad elevarsi a “bestseller” di pubmed? Tra tanti, forse il fatto che la malattia fosse più di?usa di quel che si pensasse e, almeno in Italia, la particolare attenzione che alcuni gruppi di ricerca hanno dedicato allo studio della malattia.

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