Sinossi

Ci interessa qui considerare il testo in rapporto alla sua capacità di visione. La visione è una sorta di squarcio dell’orizzonte, in cui lo sguardo resta racchiuso anche se è capace di ampliarlo. Lo sguardo riproduce l’immagine ovvia del mondo e tende a “identificare”, “nominare”, “pietrificare”, “mortificare” l’oggetto in un determinato, in un prescritto e, pur sempre, riduttivo contesto. Lo sguardo tende ad ancorarsi ad un fondamento immutabile, procurandosi di conseguenza una sorta di cecità – un abbaglio dovuto proprio a questo accanirsi a “far luce” – nei confronti della proprietà di eccedenza dei segni, dovuta alla loro valenza iconica, nell’accezione di C. S. Peirce, per la quale il loro senso e valore restano autonomi e irriducibili alla rappresentazione che ne abbiamo, all’interpretazione che ne diamo e alla “realtà” cui stabiliamo di assegnarli. I testi, verbali e non verbali, rientrano in generi di discorso o generi testuali, in “ontologie regionali” verbalmente significate, e appartengono alla sfera della vita ordinaria o a quella della sfera artistica. Ciò che li distingue è la visione: i testi ordinari verbali e non verbali rappresentano, il loro sguardo non va al di là della scena in cui svolgono un ruolo, cui rinviano e in cui trovano giustificazione. I testi artistici raffigurano secondo un’eccedenza di visione che fuoriesce dalla scena della rappresentazione.

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