

La necessità di “fare gli italiani”, dopo il compimento dell’unità nazionale, ebbe come obiettivo di primaria importanza, anche se poco noto, quello di fornire allo Stato appena sorto una nuova morale, una religione civile, che potesse sostituire un cristianesimo cattolico che, soprattutto per motivi politici e storici, non era sentito dalla nuova classe dirigente come fattore aggregante per l’Italia Unita. Il pensiero positivista, che andava oramai affermandosi in campo filosofico e scientifico in tutto il continente europeo, fornì le basi per l’impostazione di questa nuova morale. In Italia il pensatore che interpretò in maniera più organica l’esigenza voluta principalmente dalla nuova classe dirigente, ma appoggiata pure dalla massoneria, di una etica aliena da ogni credo, fu Roberto Ardigò (1828-1920), figura di spicco della cultura del tempo. La sua Morale dei positivisti fu vista come un manifesto di un nuovo modo di concepire l’uomo, la sua storia e la sua morale, alla luce delle dottrine evoluzioniste e del pensiero scientifico, al fine di risolvere il problema dell’etica circoscrivendola all’interno di fondamenti essenzialmente scientifici. La morale di Ardigò, a lungo dibattuta dai contemporanei e dalla critica successiva, resta un esempio significativo di un tentativo organico di fornire una “teologia” politica scientifica per uno Stato che voleva essere laico.

Gli intellettuali di Mussolini
Il pensiero sociale e politico del fascismo

Costruzione e struttura della Pedagogia generale
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